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L’artista consapevole costituisce una specie di mistero per chi non ha chiaro il carattere e la natura di ciò che si chiama intuizione.
Si pensa in genere che questa sia una specie di sogno ad occhi aperti, qualcosa che l’artista subisce quasi in stato di trance. Più semplici appaiono le cose a chi crede, invece che l’arte sia un fatto non intuitivo, ma una semplice costruzione, la risultante di un calcolo consapevole e di “effetti” ragionatamente predisposti.
Ma allora le opere di Fernando Izzi diventano due volte misteriose: perché in esse si avverte chiaramente la partecipazione di ciò che gli psicologi chiamano l’inconscio. L’inconscio: che è poi quel che poco alla volta giunge alla coscienza, quasi come un messaggio partito da una zona del reale che conserva le spiegazioni e le soluzioni del geroglifico dell’esistenza. Un’arte tutta chiusa nella regione della consapevolezza sarebbe inutile, perché ci direbbe ciò che già ci è noto. E l’arte di Fernando Izzi è tutt’altro che questo.
Certo: l’artista consapevole -
Non so se la durezza del ferro, materiale così difficile da domare, contribuisca a costringere l’artista ad una sorta di lenta meditazione. Quel che in ogni caso mi sembra certo, è che la difficoltà del mezzo solitamente contribuisce alla buona qualità artistica dell’opera: le tecniche oggi in uso, rese troppo “facili” dall’imponente sussidio di nuovi mezzi tecnici, indeboliscono e banalizzano l’opera. Se così è, certo questa è una riedizione, un po’ comica, delle idee di Walter Gropius.
Tutto ciò per dire che l’arte di Fernando Izzi è anzitutto commovente perché mostra una volontà estetica di tornare al semplice e al “nudo” proprio per concentrare la forza creativa sul punto decisivo: liberare il metallo dal suo destino, la condanna all’immobilità ed al silenzio. Conferirgli movimento e parola, liberarlo nell’atmosfera e nella luce della “cosa creata”.
La lunga consuetudine che mi lega a Fernando Izzi mi ha consentito di penetrare nella sua “fucina”. Egli, lavorando, è ben consapevole di questo suo compito: costringere alle leggi del pensiero l’inerte materia. Ho osservato a lungo le sue opere: figurette ancora affaticate dal miracolo compiuto; corpi come fiamme che si abbandonano al fiammeggiare di una nuova vita -
Ricordo, tra le molte, una piccola figurazione dedicata alla memoria di mia madre, Elena Ciamarra, che fu valente musicista. Uno “spirito” simile ad una fiamma, ma anche ad una foglia che si invola, osserva tra meravigliato e protettivo una enorme chiave di violino, che sorge dal nulla come un prodigio. La musica è fiamma, è fuoco, dice questo piccolo capolavoro; è un miracolo di trascendenza che contraddice le leggi di questo mondo, e che brucia le troppe parole di un assordante silenzio,il nostro quotidiano mutismo.
Piccole altalene alla Calder ricordano ed esprimono ancora una volta il miracolo della luce. La luce è leggerezza, dice la fiamma che arde su una delle estremità, che però presto, consumandosi, lascia che il peso della materia vinca ancora una volta. Ma intanto, bruciando, si leva e trionfa prima di estinguersi.
Fitte palizzate di ferro suggeriscono che la luce ha “un senso”; non è dato di vederla d’ogni dove. Giocando con la luce, il nero ferro si piega alle volontà di questa sua apparente nemica. E così, tutta una popolazione di “neri” esseri (il ferro di Fernando Izzi è significativamente, inesorabilmente nero) ci suggerisce, quasi per antifrasi, il regno della luce e dell’armonia.
Torno dunque ancora una volta all’inizio: Fernando Izzi è un artista consapevole. Egli sa che bisogna lasciar parlare l’ignoto, per portarlo alla consapevolezza, alla luce. Ed è in questo senso che la sua arte, in apparenza semplice, si rivela densa di significati sottili. Come anche dimostrano, del resto, le equivalenze figurative della sua pittura (egli è infatti anche pittore), della quale sarebbe interessante parlare. Ma sarà per un’altra volta.
(Leonardo Cammarano)